Il Cile si attrezza per professionalizzare il calcio femminile. E gli altri Paesi sudamericani?

In Cile è stato approvato un progetto di Legge del 2019 di Érika Olivera, deputata di Chile Podemos Más, partito di centrodestra, ed ex maratoneta, che mirerà al professionismo nel calcio femminile locale. Gradualmente tutti i club dovranno professionalizzare le proprie rose al 100% entro il 2025.

Attualmente solo due squadre cilene hanno giocatrici sotto contratto, il Santiago Morning con 21 atlete e l’Universidad de Chile con 5. La Asociación Nacional de Jugadoras de Fútbol Femenino (ANJUFF) e l’Observatorio de Gestión de Personas de la Facultad de Economía y Negocios (FEN) stimano che l’83% delle calciatrici in Cile non riceva neanche un soldo dalle prestazioni sportive, non avendo né un contratto, né un accordo scritto, né uno verbale. Insomma, giocano solo per hobby.

IL CALCIO FEMMINILE IN PARAGUAY

La strada però ora è spianata. Anche con il cambio di Governo il calcio femminile cileno crescerà ancora di più. Il nuovo presidente del Cile, il 35enne Gabriel Boric di Convergencia Social (centrosinistra), che salirà al potere l’11 marzo 2022, ha già anticipato altre novità a riguardo, senza però entrare nei dettagli. Oltre a essere il più giovane presidente nella storia della politica cilena, è anche un grande tifoso dell’Universidad Católica.

Sullo stesso cammino c’è anche il Paraguay, che ha ospitato l’ultima Copa Libertadores, la competizione che raggruppa le 16 migliori squadre del Continente sudamericano. Il Governo paraguaiano ha dichiarato di interesse nazionale tale torneo nel 2021 con l’obiettivo di alzare l’attenzione sul calcio femminile, che entro il 2026 dovrà essere quasi del tutto professionistico. Nel 2022 i club paraguaiani dovranno offrire almeno 6 contratti alle proprie giocatrici per partecipare al campionato nazionale, nel 2023 9 contratti e così via fino al 2026 con 18 contratti in ogni squadra paraguaiana.

IL PAESE DEL FUTEBOL

Di certo entrambi i contesti sopracitati non sono minimamente paragonabili con la situazione in Brasile. Nonostante il machismo presente nel Paese e la proibizione dello sport di contatto tra donne per mano della Ditadura Militar fino agli inizi degli anni ’80, la forte passione per il calcio dei brasiliani ha teletrasportato velocemente a un livello molto alto la modalità femminile.

Le istituzioni brasiliane non sempre sono perfette. Lo abbiamo visto durante l’addio di Formiga alla Seleção, ma qualcosa di buono è stato fatto, malgrado i mille difetti. La CBF ha raggiunto la parità di genere sulla questione premi in nazionale. Donne e uomini quando vengono convocati ricevono gli stessi soldi.

Dal 2019 inoltre la federazione ha obbligato tutti i club di Série A maschile ad avere una squadra femminile al proprio interno. Questa mossa si sta rivelando geniale perché negli ultimi mesi il business attorno al calcio femminile brasiliano è cresciuto in maniera esponenziale, tanto che le stesse società non vedono più questo obbligo come un’imposizione, ma come una nuova opportunità su cui investire denaro e tempo per poi avere un tornaconto all’altezza.

NON UN OBBLIGO, MA UNOPPORTUNITÀ

Risultato? Nel 2020 si è arrivati ad avere 10 squadre totalmente professioniste su 16 totali della prima divisione, pur non esistendo una legge o una regola interna della federazione che obblighi a rendere professionistici i club femminili. Le restanti compagini comunque, pur non avendo dei contratti veri e propri, pagavano le proprie atlete con dei rimborsi spese relativamente cospicui, offrendo loro anche un alloggio gratuito nel proprio centro sportivo.

Nel 2022 si prevede un numero più alto di squadre professionistiche nel Brasileirão, viste le promozioni di Red Bull Bragantino e Atlético Mineiro. Entrambi i club, come tutti gli altri, Corinthians, Santos, São Paulo et cetera, hanno sotto contratto lo staff e tutte le loro giocatrici, che di lavoro fanno solo questo, a differenza di molte loro colleghe in Sudamerica, riescono a pagare le tasse per avere una pensione in futuro e ricevono pure i diritti di immagine, come giusto che sia.

Anche in caso di fallimento della squadra, staff e atlete ricevono la liquidazione, come è recentemente successo con l’Avaí/Kindermann. Il club catarinense ha chiuso i battenti dopo quasi mezzo secolo di esistenza, pagando i propri dipendenti fino all’ultimo centesimo come qualsiasi lavoratore in qualsiasi altro campo.

NON BASTA SOLO SPENDERE

Argentina e Colombia stanno provando a rincorrere il Brasile, senza però riuscirci ancora del tutto. Il livello si è notevolmente alzato negli ultimi due anni, grazie alle federazioni che hanno imposto gradualmente un minimo di contratti professionistici per squadra al fine di poter partecipare ai tornei. Tuttavia l’interesse è ancora molto basso, se lo confrontiamo con quello del calcio brasiliano, e in particolare paulista, che riempie gli stadi, come durante la finale del Paulistão 2021, e coinvolge i tifosi sui social network.

Sempre meglio che infischiarsene come fanno Perù, Ecuador, Venezuela, Uruguay e Bolivia, dove il campionato è amatoriale e organizzato alla buona. Tuttavia per rendere professionistico il calcio di un Paese c’è bisogno anche di alzare l’interesse degli spettatori. Non basta solo imporre regole economicamente poco sostenibili, perché c’è il rischio che le società facciano dei finanziamenti a fondo perduto giusto per adempiere agli obblighi.

Il calcio femminile deve essere anche un’opportunità di guadagno. Deve attrarre pubblico e sponsor. Come? Con compagne pubblicitarie atte a immettere la modalità nella cultura di massa. Con un’organizzazione migliore dei calendari. Con delle strutture decenti per praticare questo sport. I palazzi non si costruiscono solo stanziando dei soldi per comprare i materiali, ma anche sapendo scegliere bene i professionisti che lavoreranno al progetto, guidandoli in ogni fase del lavoro.

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